"La quota spropositata dei pochissimi che hanno un’influenza intellettuale è ancora più inquietante
della distribuzione iniqua della ricchezza."
(Nassim N. Taleb)

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L’euro, l’austerità e la retorica della pancia piena

Aprile 1st, 2014 · 1 Comment

Ho fatto un ripasso di letture più o meno recenti sull’argomento euro, austerità e contraccolpi che ne sono derivati. Gli stimoli non mi sono mancati, dall’imminente consultazione elettorale per il parlamento europeo, al miraggio del superamento della crisi economica in tempi ragionevoli. Le fonti sono diverse, chissà quanto autorevoli. Ma si sa in certi ambiti (e il contesto elettorale è tra questi), dove prevalgono argomentazioni brandite a colpi di slogan e comportamenti da bar sport, ogni esperto o presunto tale (economista, professore universitario, o premio Nobel) è ritenuto un fuoriclasse se si trova dalla propria parte. E diventa un paria se sta nel versante opposto.
Siccome non ho mai fatto la scelta di appartenenza a un partito, e quindi non si pone il caso di partito preso, mi regolo così. Classifico persone, idee e comportamenti strada facendo, ad ogni cippo chilometrico. E quindi a distanza di qualche anno dall’inizio della crisi mi sento di dire: chapeau a chi ha additato nella rigidità monetaria e in un contesto europeo asimmetrico, gli squilibri che ne sarebbero derivati quando tutto sembrava roseo; gran rispetto a chi ci ha messo la faccia, ne ha parlato e continua a parlarne con dovizia di dati, analisi e tavole comprensibili alla maggior parte delle persone. Per gli altri non mi esprimo.
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L’Europa in questo grafico viene divisa in tre parti per dare più senso al raffronto tra le zone Euro e non-Euro: la zona Euro, paesi EU emergenti (ex-comunisti con salari bassi e maggiore flessibilità sindacale) e i paesi non-Euro (UK, Svezia e Danimarca). La zona Euro mostra un trend negativo per rapporto alle altre due zone con tendenza ad incrementare la forbice della disoccupazione.
Il sito contiene una serie di dati, tavole e dati che consentono di sbizzarrirsi nel comparare la situazione dei vari paesi.
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Siamo a tre anni dalla crisi dell’euro, e solo un irriducibile ottimista potrebbe dire che il peggio è passato. Alcuni, nel notare che la doppia recessione è terminata, concludono che la medicina dell’austerità ha funzionato. Ma provatelo a dire ai residenti di quei paesi che sono tuttora in recessione, con prodotto lordo per capita ancora sotto il livello precedente il 2008, la disoccupazione sopra il 20% e una disoccupazione giovanile al 50%. Al passo attuale si potrà sperare nel ritorno alla normalità nella prossima decade…
(Joseph E. Stiglitz, Nobel, economista, professore c/o la Columbia University)
Fonte: http://www.project-syndicate.org/
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«Le idee degli economisti e dei filosofi della politica, sia quando son giuste che quando son sbagliate, sono più potenti di quanto si creda. In verità, son loro che governano il mondo. Gli uomini di azione, che si credono esenti da ogni influenza intellettuale, son di solito schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, che odono voci nell’aria, distillano le loro frenesie da scribacchini accademici di qualche anno fa…». Dure parole, queste di John Maynard Keynes. Ma son parole che tornano alla mente guardando al dibattito fra sostenitori dell’austerità e i sostenitori della crescita.
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Andrew Lo, un economista del Mit, affermò un giorno che «la fisica ha tre leggi che spiegano il 99% dei fenomeni, e l’economia ha 99 leggi che spiegano il 3% dei fenomeni». Per far funzionare l’austerità espansionista ci vorrebbero molte condizioni di contorno: la politica economica dovrebbe irradiare concordia e determinazione, spargere fiducia, comunicare sicurezza, rimuovere incertezza… Se i governanti europei non irradiano, non spargono e non comunicano, sappiamo perché l’austerità non funziona.
Fabrizio Galimberti, da Il Sole 24 ore (15 ottobre 2012)
Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online
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E’ facile immaginare una spirale discendente che risulterà in molteplici paesi costretti ad abbandonare l’euro travolti da un collasso economico e finanziario. E’ quasi impossibile immaginare l’opposto. Ma qualcuno l’ha fatto.
In maggio, Peter Berezin, Bank Credit Analyst (BCA), affrontò la questione dal punto di vista di qualcuno che nel 2021 osserva la crisi in retrospettiva, e descrisse quello che oggi può sembrare un risultato idilliaco irrealizzabile:
“Alla fine, la moneta comune sopravvisse. In effetti, negli ultimi cinque anni, la crescita è aumentata notevolmente e il livello del debito e gli spreads sono continuati a scendere… Cosa difficile da prefigurare durante tutto il 2012, gli indici europei hanno surclassato tutti i principali mercati negli ultimi dieci anni.”
Fonte: http://www.economist.com/blogs/ (traduzione libera e non autorizzata)
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Per l’architetto dell’euro, prendere le decisioni di macroeconomia senza la partecipazione dei politici eletti e stringere i tempi della deregolamentazione erano una parte del piano.
L’idea che l’euro abbia “fallito” è pericolosamente ingenua. L’euro sta facendo esattamente quello che il suo ideatore – e quell’1% di ricchi che decisero di adottarlo – aveva previsto e per cui era stato programmato.
Questo progenitore è l’economista Robert Mundell, che lavorò all’Università di Chicago. L’architetto della “supply-side economics” è ora professore alla Columbia University, ma io lo conoscevo perché era in contatto con il mio professore di Chicago, Milton Friedman, con cui lavorò nella ricerca su valute e tassi di cambio che sarebbe stata la base del progetto di unione monetaria europea e della moneta comune europea.
Fonte: articolo di GREG PALAST /guardian.co.uk
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L’errore, aggravato dalla perseveranza, rivela la malafede.
All’epoca della Grande depressione, le conoscenze non erano quelle attuali: nessuno era in grado di comprendere la dinamica perdurante della crisi e suggerire il da farsi. Invece “i leader di oggi non hanno quest’attenuante.”
Possediamo sia le conoscenze sia gli strumenti per mettere fine alla crisi economica, secondo Paul Krugman, ma non viene fatto abbastanza per affrontare con vigore la recessione ed eliminare la sofferenza; la disoccupazione di massa è una tragedia, ed è insieme fonte di povertà e causa del risorgere degli estremismi.
Come è potuto accadere? Si chiede l’autore, premio Nobel per l’economia, nel libro Fuori da questa crisi, adesso! E’ un’esortazione a fare presto.
(Fonte e per continuare la lettura)
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A distanza di cinque anni, (per chi si trova a mal partito, non insegue secondi fini, non ha sposato un partito preso) la costatazione di quali sono i paesi restati al palo assieme ai dati in termini di malessere e povertà parlano da soli. L’ipotesi di uscire dall’impasse e quindi dall’euro (non dall’Europa) viene osteggiata con il solito refrain: ci vuole più Europa! Questi signori che fanno elaborate previsioni catastrofiche, senza peraltro essere convincenti con i partner europei, celano un dato matematico di estrema semplicità che comincia col numero “due” (2). Metti insieme una coppia e inizia la complessità. Se gli altri non ci stanno, se il disegno resta malfatto e incompiuto, “più Europa!” equivale a dire: “campa cavallo…”

E comunque non ci si può esimere dal contemplare il problema in uno scenario economico-geopolitico ben più vasto. (L’idea romanzata de la città futura non era poi tanto peregrina.) La globalità, nell’ottica di esasperata concorrenza tra masse di poveri, uccide. Le comunità devono poter ricercare un equilibrio regionale che assicuri – se non un minimo benessere sociale – almeno il superamento della lotta per la mera sopravvivenza.

Antonio Fiorella

 

 

Tags: 9.Punto di riflessione

1 response so far ↓

  • 1 Eurocrazia | Le Forme della Politica // Mag 20, 2016 at 16:13

    […] La coincidenza della Pasqua con l’inizio della campagna elettorale per il Parlamento europeo ha messo in marcia una speciale categoria di persone che definirei (ma in verità si autodefiniscono) i flagellanti. Alla processione cui partecipano eminenze e accoliti, numerosi sono quelli che affermano, a ragione, che i nostri mali ce li siamo meritati, tutti (i mali, tutti noi). Ergo, l’inferno. E qualsivoglia smentita non può che suonare falsa, nondimeno è un po’ come dire: ci sono generazioni contrassegnate da una / due guerre mondiali e ci sono le generazioni che lasciano agli eredi una montagna di debiti assieme a un apparato istituzionale non proprio edificante. Tutti consapevoli quindi che il mea culpa generazionale da solo non porta soluzioni. Ma neppure l’elencazione dei mali come un rosario da espiare grano per grano. La comparazione degli stessi su un piatto della bilancia da una parte, con le difficoltà economiche dall’altra, la contrapposizione Italia / Germania (l’una immersa nel disordine politico-sociale-economico) e l’altra disciplinata, contiene un vulnus ed è un esercizio fuorviante.Consapevoli, anche,  che i mali ci sono, non vanno disconosciuti, incidono e gravano sul sistema, e che la ricchezza non si produce dal nulla, però i meccanismi economici non sono valutabili con pesi e contrappesi alla stregua di un’attività svolta in un cantiere, un’officina o un’industria. Si sprecano paragoni che non reggono! In questo sbagliano i flagellanti, nel non documentarsi a dovere, con letture trasversali.Poi c’è la schiera dei riformatori – ben intenzionati, per carità – che tuttavia si scontrano con la complessità dell’Eurocrazia. In virtù dei risultati raggiunti, (corollario: una via crucis di suicidi, livelli di disoccupazione record ecc. tale da essere definita “una terza guerra mondiale”… da che pulpito? dai vescovi, nel lontano 2011!) definisco qui le loro argomentazioni “retorica della pancia piena”.  […]

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