"La quota spropositata dei pochissimi che hanno un’influenza intellettuale è ancora più inquietante
della distribuzione iniqua della ricchezza."
(Nassim N. Taleb)

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Difesa all’arma bianca

Aprile 29th, 2009 · No Comments

Incontro Pino Polistena dopo una ventina d’anni o forse più, non lo vedevo dai tempi in cui frequentavo la redazione di Malvagia (periodico della cultura sommersa). Essendo il disarmo uno dei temi ricorrenti della rivista, apprendere che Pino si è calato per un certo periodo nell’arena politica ed è stato leader del movimento ‘la fionda’ mi appare come l’inizio inaspettato di una escalation dall’esito imprevedibile.
Il tema dominante del fenomeno ‘la fionda’ è maturato nell’ambiente politico dei Verdi (anni ’90) ed ha avuto nella ‘forma’ la sua metrica di base. Cos’è ‘la fionda’, cosa s’intende per ‘forma’ e come si allaccia alla politica? Lo chiedo all’esponente che è stato ideatore e propulsore del movimento.
“La politica è stata una scoperta che è nata dal tempo” mi aggiorna, (ai tempi avrebbe detto: ‘nasce dal pensiero diacronico’ – riflessione filosofica rapportata all’evoluzione della società nel tempo – la precisazione del gergo filosofico è mia). “Ho portato nelle assemblee del partito dei Verdi il metodo che mi ha sempre accompagnato, diventando uno dei leader … Le nostre analisi avevano preso corpo in un movimento denominato la fionda.” Il riferimento biblico del Davide che si batte contro Golia è lampante (anche se appare e scompare nella bibliografia ufficiale), ovvia anche l’allusione di intravedere nella bestia partitica il mostro da combattere; meno evidente è l’approccio che se ne è fatto per sconfiggere la vecchia politica, per crearne una nuova adeguata ai tempi. E per dare tangibilità al concetto base di ‘forma’, sollecito più che una spiegazione, qualche fatto concreto.
“Un esempio che posso dare è quello di essermi trovato all’inizio degli anni ‘90, nella posizione di coordinatore nazionale del partito. All’epoca il ruolo di dirigente era separato dal ruolo istituzionale di deputato.” Essenzialmente una conquista della forma ‘o nel partito o nelle istituzioni’. “Ebbene?” inseguo l’episodio specifico. “Ci sono arrivati 350 milioni di lire … frutto della legge elettorale in vigore. Con l’unica richiesta dal parlamento, quella di fornire un prospetto informativo circa l’utilizzo: un tot spesi in un modo, un tot in un altro … “ In sostanza non era previsto, e forse non lo è tuttora, nessun documento giustificativo. La doppia veste di deputato e di dirigente di un partito porta alla elargizione disinvolta dei fondi di questa natura. E al perseguimento dell’interesse personale a discapito di quello collettivo. Siamo al livello della politica dove l’obiettivo principale dei protagonisti è la carriera nel partito e nelle istituzioni per la propria scalata sociale, fine a se stessa.
Attingo a piene mani dall’articolo di Ettore La Rosa ‘L’occasione mancata’ (*) per una rapida disamina complessiva: “C’era al fondo di quelle riforme un’idea straordinaria: la buona politica dei contenuti si deve preparare con una buona ‘forma’ politica ossia con un modo evoluto di fare politica.”
Apprendo dalla stessa fonte, dell’inizio anni ’90, dei nuovi partiti: la lega, la rete e i verdi. Dell’occasione propizia di porre nuove basi alla politica partendo da una situazione favorevole – dall’assenza di un ‘padre padrone’ nell’area dei Verdi. Della “teorizzazione di riforme importanti per la società italiana … elaborate all’interno di gruppi il più importante dei quali era la fionda …  Solo un parte di quelle riforme passò nello statuto dei Verdi ma già quella piccola parte fu percepita come ‘micidiale’ dal ceto politico.” Dell’implosione che ne seguì poiché da un lato venne a mancare un processo formativo che portasse questi contenuti nelle assemblee coinvolgendo la gente, dall’altro vennero commessi errori con l’accoglienza dei professionisti della politica di provenienza dal partito arcobaleno (tanto per citare qualche nome: Edo Ronchi, Francesco  Rutelli, Mario Capanna e altri).
Raggiungo telefonicamente Carla Assirelli, segretaria factotum dei Verdi, dall’inizio degli anni novanta fino al prevalere della disillusione. Mi elenca i punti cardine di alcune proposte che erano state avanzate.
La collegialità. Lo statuto dei Verdi non contemplava la figura di un segretario unico, bensì di un gruppo di coordinatori. Separazione tra partiti e istituzioni. Una seconda disposizione, collegata alla prima, sanciva che nessuno dei coordinatori potesse ricoprire il ruolo di parlamentare. Una terza disposizione poneva il limite dei mandati ecc. ecc.  Siamo intorno alla metà degli anni novanta.
Carla continua la ricostruzione raccontando di quegli anni: “A un certo punto le nostre idee sono state emarginate, pertanto ci siamo trovati con un gruppo di dissidenti a riprendere il filo della ricerca, portando il dibattito fuori dall’arena partitica. Il succo riassunto nelle ‘10 riforme per una democrazia matura’ risale al 1997, dopo l’allontanamento dal partito ad opera di alcuni transfughi: Pino Polistena, Lucia Cordone, Sergio Portas, io stessa e pochi altri”. Tuttavia la rottura definitiva con i Verdi si avrà tre anni più tardi, allorché al congresso di Chianciano, nel 2000, ai consiglieri delegati della Lombardia – adducendo problemi tecnici – viene di fatto impedito di prendere la parola.
Quando le chiedo di descrivere l’atmosfera di fondo che si respirava in questo tormentato percorso, tocco con mano la natura duplice di ogni movimento che parte dal basso. “Il partito dei Verdi aveva sede in via Dogana; la sala riunioni si affacciava in piazza Duomo. In pratica, dall’oggi all’indomani siamo passati dalle guglie del Duomo di Milano alle cantine. Ci siamo ritrovati a discutere di ingegneria politica in luoghi di fortuna, talvolta nei locali del seminterrato di un istituto dalle parti di via Moscova, dove c’erano assemblati dei tavoli e alcune sedie in disuso. Come dei carbonari. E se sollevavi lo sguardo, vedevi le condutture del riscaldamento, assieme alle ragnatele. Eppure l’afflato del gruppo non era mai stato così intenso”.
La diffusione delle idee, coagulate nei locali caldaia, avvenne attraverso banchetti all’aperto, che per qualche tempo si tennero con frequenza quasi settimanale. Vennero inviati articoli alla stampa, distribuiti volantini e rivolti inviti al pubblico. Alcuni degli interventi furono pubblicati da Repubblica, da Vivimilano (l’inserto settimanale del Corriere) e altri giornali.
Alla domanda se rammenta qualche aneddoto della fionda, mi narra un particolare curioso. All’inizio il nome del gruppo era ‘la fionda di Davide’. Come in precedenza, era lei a tenere i contatti con la stampa. E spesso le veniva chiesto: ‘Siete ebrei?’ “Non ho niente contro gli ebrei!” precisa, “ma stanca di dovere ogni volta spiegare che non avevamo nulla a che vedere né con la religione né con la Palestina, proposi di chiamarci semplicemente ‘la fionda’!” Idea che venne condivisa con qualche mal di pancia.
Rievoco nella memoria altri spezzoni della conversazione con Pino che ha toccato molti argomenti senza soffermarsi su nessuno in modo specifico: intorno al 2002, è il momento dei girotondini; con l’aggregazione di altre associazioni, sembra sorgere una stagione promettente; tutte insieme vengono a formare un gruppo denominato ‘parlamentino’… Ma è un fuoco di paglia! Mi è apparso evidente che il ricordo di certi passaggi rappresenti un processo doloroso per chi ha investito energie e speranze che sono poi naufragate. “Di solito chi tocca le elezioni muore … andò a finire chi da un lato, chi dall’altro, più o meno tutti si misero alla ricerca di un tornaconto personale …” Inconciliabile con il benessere collettivo.
Negli anni successivi ci sono stati incontri sporadici; nuove aggregazioni; nuovi tentativi di portare il decalogo a un pubblico più vasto hanno avuto alterna fortuna. Fabio Amoretti rammenta, verso la fine del 2005, di essere stato uno dei più attivi del gruppo dei ‘grilli milanesi’(**). “Infastidito dalla superficialità con la quale si stava procedendo, dalle dinamiche inconsapevoli” che ricreavano la figura di un portavoce incapace di raccogliere le istanze comuni, aveva invece scoperto nella fionda un lucido dibattito su questioni fondamentali per il funzionamento delle istituzioni.
Ad ogni tornata, molto è dipeso dalla sensibilità del momento, dall’ondata collettiva di sdegno a seguito di leggi che non si condividono, di fatti sconcertanti che balzano all’onore della cronaca. Alfredo Biondi diceva che la gente è affascinata dal delitto, non dal diritto. Talvolta una parte delle persone che mostra interesse, è attratta dall’idea spiccia di fare tabula rasa del malgoverno. Altre volte il dibattito diventa accademico. A contatto con la gente su tutto emerge il bisogno di fare cultura, d’insegnare e apprendere l’un l’altro ad allargare i propri orizzonti.
Osservare che alcuni temi, quale per esempio l’abolizione delle provincie, ritornano di tanto in tanto all’ordine del giorno di qualche giornale e/o settore del Parlamento, è di poco conforto, poiché è del tutto assente un disegno armonico di lungo termine.
Nel 2008 la fionda organizza un ciclo di conferenze (Chiamamilano) dai titoli emblematici “Ibrido drammatico” e “La Riforma Principe”; lancia un appello a riprendere la missione incompiuta a uno sparuto drappello nel segno di resistere, resistere, resistere. Prestando la massima attenzione a non generare equivoci.
In una società soggiogata dal pallone, qualcuno potrebbe intendere l’appello come una invocazione alla pratica del catenaccio davanti all’area di rigore, piuttosto come l’auspicio di autentico rigore politico.
E allora è giocoforza accingersi a “gettare semi al futuro” per le nuove generazioni.
AF
(*) l’articolo citato di Ettore La Rosa è disponibile in rete su Helios Magazine (http://www.heliosmag.it/2008/2/larosa.htm)
(**) gruppi aderenti al movimento di Beppe Grillo

Tags: 2.Frammenti di storie quasi personali

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