(Appunti per l’archivio Primo Moroni)
Il tornado Enzo Gallina spazzò via alle prime folate di vento sia l’etichetta ‘Poppy Edizioni Sperimentali’ (compresi subito mio malgrado che non potevano esserci vie di mezzo, allora si era: o di qua o di là della barricata), sia gran parte delle persone che si stavano aggregando. Mi veniva da sogghignare nel vedere come due parole messe lì quasi per ridere ‘edizioni sperimentali’ potessero mandare in bestia una persona colta, ma tant’è: il gruppo prese il nome ‘Poppy-(cani) bastardi carta stampata’. Mi spiacque invece vedere darsi alla fuga alcune persone (tacciate di qualunquismo: il peggior insulto, accanto a quello di fascista, non meritevole neppure di quattro sprangate per un atteggiamento ritenuto spregevole sin dal primo dopoguerra) che si erano avvicinate in punta di piedi con tante aspettative. E infatti ‘quella specie di libro’, uscito sotto il titolo ‘Bla… bla… bla… di rivoluzione’ (1978), autore Enzo G., portava chiaramente scritto che la ‘Poppy-bastardi carta stampata’ non era una casa editrice, bensì un modo d’incontro, un gruppo di persone che si muovevano con spirito democratico, aperto ai problemi vivi nell’ambiente.
La rivista ‘I promessi poppy’, numero 0, anno 1978, fu uno dei momenti di coesione del gruppo, raccogliendo storie, disegni, racconti della maggior parte dei componenti: Marco, Lucia, Enrico, Tony S., Antonio F., Peter, Maurizio, Roberto, Enzo, Antonio T. Nelle intenzioni dovevano seguire altri numeri, quale ‘Il Decameron poppy’, attingendo ai sacri testi della letteratura, ma rimasero nella lunga lista delle cose che potevano attendere.
Gli spazi maggiormente frequentati erano Parco Lambro e Parco Sempione, il Centro Sociale Leoncavallo, il teatro Officina, le fiere cittadine e quelle fuori città. I libri, la rivista, una cassetta registrata con poesie e musica improvvisata, alcuni disegni di Antonio Tarantino erano le cosepoppy che venivano distribuite o vendute. Le uscite al parco, gli incontri presso il Centro Sociale Leoncavallo, portarono a intersecarsi con ‘Babilonia senza potere’, ad estendere la collaborazione con i compagni della rivista ’12 un giorno maledetto’ con i quali c’era anche la condivisione di una stanza presso il Leoncavallo.
La meteora ‘Poppy-bastardi carta stampata’ trovò momenti di partecipazione che andarono ben al di là delle cose prodotte. Nel convegno dei Punti Rossi a Firenze, nel 1978, mentre il fervore del dibattito sulla lotta politica sembrava al culmine, l’intervento fuori dagli schemi di uno ‘sparuto gruppo di poeti’ – come qualcuno ci apostrofò – consentì di allentare la tensione, con un sospiro di sollievo generale. E fu una tregua salutare, chi c’era ne serba memoria. Infine, ad un certo punto divenne impossibile continuare a stare insieme, per adesioni che nascendo dalla fuga da una condizione di paranoia non trovarono altro rifugio che lo spinello – almeno per alcuni, – per una ridda di problemi personali, nell’iperbole di linguaggi mal digeriti.
Gaspare Barresi, che aveva aderito all’iniziativa sin dalle prime fasi, con due micidiali fendenti descrisse prima una figura di ‘leader di un gruppo / intontito dalla loquacità’ e in seguito celebrò la ‘Morte di un gruppo’, nella raccolta di poesie ‘Progetto Selinuntino’ (1979), con l’epitaffio: ‘…quelli lì li vedo negarsi / e un senso di morte mi prende / nel buio che si fa largo tutto intorno a me.’
Osservando oltre la scelta dei termini preferiti e le modalità di espressione di ciascuno, la convinzione che legava tutti era che non dovessero esserci ruoli preassegnati nel campo della cultura; eravamo contro la tendenza dominante, che poi erano ‘leggi di mercato e di potere’ insieme, di comprimere allo stato di spettatori la massa a vantaggio degli autoeletti produttori/rabbonitori/dispensatori del sapere. A guardar bene, non è di questo che ci si lamenta ancora oggi a distanza di 30 anni, quando si dice di voler abbattere gli steccati protettivi delle baronie, delle corporazioni, delle rendite di posizione?
Gaspare Barresi, Antonio Tarantino e il sottoscritto, dotati di sufficiente autoironia da eludere pericoli maggiori, confluimmo nella redazione di Malvagia, altra storia, altro romanzo (partito bene su Malvagia, finito presto in ‘testacoda’).
Ho detto della pancia, quindi della bocca quale via di transito per il nutrimento e la parola, voglio concludere con gli occhi, così spesso raffigurati nelle opere di Antonio Tarantino. Non ho mai incontrato un artista delle arti figurative meno interessato nel dare buona mostra dei propri traguardi raggiunti. Una locandina con due suoi disegni (1978), (e due racconti che recentemente hanno trovato nuova collocazione nel libro ‘il virus della parola’ edito da Albalibri), resta l’unica traccia di alcune mostre allestite in quegli anni. Antonio trovava più coinvolgente dare il suo contributo alla realizzazione di un progetto. E anche se al termine di molti incontri usciva stravolto ammettendo di non aver capito un granché, poi tornava la volta successiva con un disegno che racchiudeva la sintesi dei tanti discorsi. Con la leggerezza dell’artista che vive una dimensione sua ben distinta e la dedizione del certosino, gli riusciva d’interpretare il pensiero in cui tutti alla fine si rispecchiavano, come per magia. Attraversando in lungo e in largo il periodo che va da ‘Poppy’ a ‘12 un giorno maledetto’ fino a ‘Malvagia’, con il suo tratto di matita, pennino e inchiostro di china, ha percorso un decennio di stampa alternativa. Le sue illustrazioni sono state il filo del bozzolo che ha avviluppato diverse esperienze di vita.
– Ho sognato: non era una meteora, e neanche un latrato di cani bastardi, era una farfalla.
Antonio Fiorella (Maggio 2007)
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